PRIMO STAND: L’ OFFICINA DEL FABBRO

Il mestiere del fabbro nel passato è sempre stato molto importante perché permetteva la produzione di una grande quantità di attrezzi, indispensabili per molti lavori.


LA BOTTEGA

La bottega era scura e fumosa ed il suono del martello e dell’incudine sollecitava e dava ritmo ai vari lavori del borgo. L’incudine era la base su cui poggiare il ferro caldo per la lavorazione a percussione; la classica incudine è a due fori e a due corni; uno piatto ed uno rotondo (per lavorazioni particolari). Nei fori veniva inserita tutta una serie di formine che permettevano le lavorazioni più peculiari. I martelli utilizzati erano diversificati a seconda della lavorazione: Si avevano martelli più pesanti o più leggeri oppure, per i pezzi più grossi come gli assi dei carri, si usavano delle mazze. Il mestiere del fabbro richiedeva un lungo periodo di apprendistato per poter padroneggiare la materia ed ottenere forme e dimensioni volute, ma, considerata la varietà di applicazioni possibili, ogni fabbro sviluppava una sua specializzazione: coltellaio, catenaio, ferratore di cavalli ecc.. Il buio della fucina era indispensabile per distinguere bene la tonalità del rosso del ferro arroventato. Il colore era indice della temperatura raggiunta e della conseguente lavorabilità del metallo. L’officina del fabbro del Museo è completa di tutti gli attrezzi usati un tempo e ricca di una grande serie di tenaglie da fuoco usate per estrarre il ferro ardente e poggiarlo sull’incudine (differenziate a seconda dei tipi di ferri) La forgia era il banco di lavoro dove il ferro rovente veniva lavorato o forgiato appunto.Il metallo per poter essere lavorato doveva diventare malleabile, veniva perciò scaldata su delle braci, una barretta di metallo. Il calore veniva alimentato da un grosso mantice a soffio. Di fianco la forgia era posto un contenitore pieno d’acqua che serviva a raffreddare e ad indurire velocemente la superficie del ferro durante la lavorazione. Un poderoso maglio inoltre ricorda il lavoro effettuato nelle officine maggiori che sfruttavano la forza dell’acqua. La forza idraulica alimentava il movimento di una ruota simile a quella del mulino, la quale aveva un asse con un eccentrico che sollevandosi, faceva sganciare i battenti e azionava il maglio. Si osservano anche una serie di trapani ad archetto o a violino dotati di movimento alternativo e degli attrezzi per stagnare. Stagnare le pentole di rame e di ferro era un’ operazione importantissima in quanto lo stagno era una materiale adatto a resistere alle temperature ma non risultava nocivo perché inerte. Ancora una serie di morse e morsette e delle mole per affilare


SECONDO STAND: I PRODOTTI DELL’ OFFICINA FABBRILE

Un campionario di prodotti semilavorati e finiti, posto a fianco della bottega del fabbro è a documento delle varie lavorazioni: attrezzi agricoli, catene, asce da boscaiolo e carpentiere, ferramenta per portoni, coltelli, ecc... Il fabbro doveva saper fare un sacco cose: armi, supporti per i carri, coltelli, pentolame, vanghe, campane, cardini, catene, incudini, semilavorati (ossia barrette di ferro uscite dalla fonderia..) ecc..


TERZO STAND: L’ORAFO, L’OROLOGIAIO E IL BILANCIERE

L’ORAFO

Gli antichi mestieri che hanno in comune le tecniche di lavorazione dei metalli, richiedevano grandi abilità manuali oltre che notevoli conoscenze di meccanica, cosa che si può constatare osservando la numerosa quantità di piccoli attrezzi esposti. L’orafo creava collane, orecchini, anelli ed in genere gioielli per ornamento e non solo in oro come suggerisce il nome. L’ oreficeria era l’ arte dell’incudine e del martello per l’eccellente malleabilità dell’oro, la capacità cioè di lasciarsi trasformare in lamine sottili. La lavorazione avveniva su di una piccola forgia dotata di ventola per arieggiare. Il metallo si scaldava utilizzando delle piccole lampade a petrolio. Per fondere il metallo si utilizzavano dei piccoli crogiuoli, dei contenitori fatti di un composto particolare in grado di resistere a temperature elevatissime. C’erano poi delle minuscole incudini e dei minuscoli martelli. Nella vetrinetta assieme a questi, degli oliatori,e sopra un raffinato attrezzo si suppone utilizzato per bloccare e incastonare le perle.


IL BILANCIAIO

Il mestiere del bilanciaio richiedeva la capacità di lavorare vari metalli, quali il ferro, ottone, piombo, per le varie parti delle bilance. La taratura veniva controllata dall’ufficio pesi e misure che imprimeva il marchio di garanzia della precisione.


L’OROLOGIAIO

L’orologiaio è un mestiere che iniziò verso il ‘400, dopo gli studi del movimento a pendolo di Galileo Galilei che permisero la realizzazione di orologi per torri o campanili dotati del movimento a pendolo appunto e carica a peso. Col tempo si riuscì a costruire orologi con movimento a bilanciere e carica a molla che permisero la costruzione di orologi da tasca


QUARTO STAND: IL MANISCALCO E IL CARRADORE

IL FABBRO FERRAIO

I trasporti via terra erano un tempo effettuati essenzialmente su carri trainati da buoi o cavalli. Gli zoccoli degli animali si rovinavano facilmente per la durezza del fondo stradale e richiedevano una protezione contro l’abrasione continua sul terreno. Ogni borgo e villaggio aveva il suo maniscalco che provvedeva alla protezione dell’animale applicando agli zoccoli, ferri opportunamente sagomati secondo le loro forme e dimensioni. Bisognava avere una grande abilità nel sagomare con cura i ferri e nel fissarli con chiodi agli zoccoli perché un lavoro mal riuscito impediva l’utilizzo dell’animale. Si possono osservare: Innanzitutto un piccolo banchetto che serviva come piano d’appoggio per lavorare il metallo, attrezzi per pulire gli zoccoli dell’animale, una grande varietà di ferri e delle tenaglie, degli scaccia-mosche, delle staffe. Qui in basso possiamo ammirare la particolareggiata ricostruzione di una stalla: I cavalli avevano una mangiatoia collocata in alto perché mangiano in piedi tenendo il collo ritto. Questa sorta di calzare è chiamata ciabatta: quando il cavallo perdeva il ferro si ricopriva lo zoccolo nudo con questo calzare di emergenza per proteggerlo fino alla nuova ferratura.


IL CARRADORE

La costruzione dei carri richiedeva l’opera congiuta del fabbro e del falegname. Il falegname costruiva la struttura portante in legno e il fabbro tutte le giunture in ferro. Particolarmente preciso doveva essere il lavoro per la costruzione delle ruote che dovevano sopportare le sollecitazioni date dal carico e dalle asperità del terreno. Sono qui esposti alcuni semplici attrezzi tipici di questo antico mestiere ormai scomparso.


MODALITÀ PER FISSARE IL CERCHIO SULLA RUOTA:

Il ferro doveva essere riscaldato in maniera tale che si dilatasse e si adattasse al diametro della ruota; subito raffreddato (altrimenti si infiammava) si restringeva rimanendo in perfetta tenuta sul legno. Per sollevare o alzare i carri si utilizzava una binda, attrezzo dotato di ruota con cremagliera (una sorta di crick per l’automobile) Infine per misurare il diametro della ruota si usava segnare la ruota con un gesso; veniva poi fatta girare e in base al numero dei giri compiuti si risaliva all’esatta misura diametrale .(le ruote dovevano essere tutte perfettamente uguali.)

L’ARROTINO

L’arrotino (molèta) era un ambulante che passava in periodi fissi per i paesi, portandosi dietro l’occorrente per il lavoro: la mola a pedale, un arnese dotato di una ruota in pietra (la mola) azionata da una manovella e da un sistema di cinghie a trasmissione. Era accompagnato talora da un figlio che aiutava a sistemare la mola e percorrendo il paese al grido di “ EL MOETA! ” o “ EL GUA! ”, raccoglieva forbici e coltelli da affilare. Dando forza al pedale e mantenendo il ritmo, la pietra della macchina ruotava a velocità costante , bagnata inoltre dall’acqua lasciata cadere goccia a goccia da un recipiente sovrastante. L’acqua serviva a raffreddare la lama che se si surriscaldava perdeva la sua capacità di taglio. A quel punto “el moeta” avvicinava la lama da affilare alla pietra e passando e ripassando contro di essa a filo toglieva denti e imperfezioni. Infine veniva controllato con delicatezza il tagliente passandovi un dito per rendersi conto della riuscita del lavoro. La sera il figlio, preannunciandosi a gran voce, riportava gli oggetti affilati ai proprietari incassando un magro compenso.

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